La capitale della Magna Grecia non vanta solo bellezze storiche, architettoniche e paesaggistiche, offre anche pregiate specialità culinarie a chi la visita.
Le cozze tarantine sono un patrimonio della città dei due mari, al pari del Museo Archeologico MarTa e del Castello Aragonese: ne sono più che convinti sia coloro che vi sono nati e vi abitano, sia i numerosi visitatori che, ogni anno, scelgono Taranto quale meta dei loro viaggi.
La cucina locale è nota in tutta Italia e ormai anche a livello internazionale, per la freschezza e la varietà del pescato del giorno e per i suoi mitili, che rappresentano una vera eccellenza. Le cozze tarantine, in particolare, godono di una fama speciale, frutto di un segreto racchiuso fra le acque del suoi due mari.
Le sorgenti d’acqua dolce che prendono il nome di citri
Perché le cozze tarantine sono considerate così pregiate dagli esperti e da chiunque ha modo di assaggiarle? La risposta è nella perfetta alchimia fra sapidità e dolcezza che i mitili coltivati a Taranto possono vantare, quel sapore particolare è frutto dei citri, sorgenti d’acqua dolce che si mescolano alle acque salate del Mar Piccolo, dove le cozze sono allevate.
Il citro tecnicamente è lo sbocco in superficie di un fiume sotterraneo, proveniente dagli altopiani della Murgia tarantina. Non a caso, lo stesso nome “citro” deriva dal greco “kutros” ossia “pentola”, in quanto è possibile osservare ad occhio nudo l’effetto dell’acqua che, dal basso sale verso l’alto e ribolle, come in una pentola sul fuoco.
Nel Mar Piccolo esistono ben 34 citri, nel Mar Grande solo uno, il più grande, comunemente denominato l’“Anello di San Cataldo”, per via di una leggenda molto antica che coinvolge il Santo Patrono della città.
Il miracolo dell’“Anello di San Cataldo”, il vescovo venuto dall’Irlanda
La leggenda vuole che nel VII secolo il monaco irlandese Cataldo, in seguito divenuto vescovo di Taranto, mentre era in preghiera sul Santo Sepolcro, ebbe una visione di Gesù che gli comandò di rievangelizzare la terra tarantina vittima del paganesimo. Il santo si mise subito in viaggio via mare e, giunto nelle acque della città, in Mar Grande, fu colto da una violenta tempesta, che riuscì prontamente a placare lanciando il suo anello fra le onde. Proprio in quel punto, secondo l’agiografia, si sarebbe formato un vortice di acqua dolce e fresca come quella di un fiume, un esteso citro che è tuttora visibile ad occhio nudo e prende il nome di “Anello di San Cataldo”.
La produzione delle cozze tarantine
La richiesta delle cozze locali è in continua crescita, al punto che le circa 30mila tonnellate prodotte ogni anno non sono sufficienti a coprire le esigenze del mercato. A causa di tale carenza, può accadere che siano commercializzate cozze non tarantine, ad esempio spagnole o greche, sebbene sia impossibile che la differenza non venga notata. Le cozze tarantine, infatti, non si caratterizzano soltanto per la bassa salinità, ma anche per le dimensioni ridotte rispetto a quelle estere e per la particolare polposità, che si ritiene dovuta a un altro fattore essenziale: il Mar Piccolo, dove sono posizionate la palificazioni delle cozze, è un mare calmo e questo favorisce la crescita di mitili non callosi, in quanto cresciuti senza stress, “morbidamente”…
La poetica bontà dei frutti del mare di Taranto
Le cozze tarantine, con il loro colore chiaro e rosato, il profumo di iodio e il delicato sapore di mare, non sono decantate soltanto dai turisti e dai locali nei momenti conviviali, sono state anche celebrate in versi.
Il poeta Tommaso Niccolò D’Aquino (1665-1721), nato e vissuto in riva allo Ionio, così ne cantava i pregi nella sua opera più nota, le “Deliciae Tarentine”, un poemetto in esametri latini pubblicato postumo:
“Ivi dolce onda, oh meraviglia! sbocca
Tra ‘l salso umor, in cui sarà nutrito
L’eletto seme, e quanto più lo tocca
L’alma sorgiva…”
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